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Perchè coltivare un orto oggi?

Perchè coltivare un orto oggi?

La coltivazione degli ortaggi ha sempre fatto parte della cultura e tradizione contadina di ogni popolo presente sulla Terra dall'epoca preistorica fino ad oggi.

Con il passare dei secoli a partire dall'epoca Romana e in tutto il Medioevo, gli orti erano parte integrante della produzione agricola assieme alla coltivazione dei cereali e delle leguminose, ossia quelle specie considerate importanti negli avvicendamenti e nelle rotazioni agricole al fine di migliorare la fertilità agronomica del suolo.

A partire dal 1500 e per tutto il Rinascimento fino ad arrivare al 1800, con l'introduzione di nuove specie orticole (es. patata, pomodoro, peperone, fagiolo ecc.) a seguito della scoperta dell'America, vennero importati anche nuovi gusti e sapori che andarono ad integrare quelli già presenti con gli ortaggi di allora (es. cavoli, bietola, carota, cicoria ecc.). Questa situazione ha favorito, in quel periodo, anche lo sviluppo di una determinata biodiversità orticola, caratterizzata dalla presenza di una serie di varietà locali diversificate in base all'ambiente di coltivazione e caratterizzate da un determinato adattamento nei riguardi del clima locale e dei parassiti presenti.

Con la riscoperta delle leggi di Mendel (all'inizio del 1900), che spiegano il meccanismo attraverso il quale si verifica la trasmissione dei caratteri da una generazione all'altra, sono avvenuti due grandi cambiamenti. In primo luogo la selezione è passata dai campi degli agricoltori ai centri di ricerca. Per questo quello che è stato fatto da moltissimi agricoltori in svariati luoghi per millenni, cominciò a essere fatto dagli scienziati nei centri di ricerca. In secondo luogo la selezione per un adattamento locale (chiamata anche selezione massale) è stata gradualmente sostituita da una selezione per adattamento diffuso (selezione artificiale). Il risultato finale di questo cambiamento è stato lo sviluppo di varietà ad alto rendimento nei paesi più sviluppati attraverso un processo chiamato "rivoluzione verde".

Con il termine "rivoluzione verde", coniato nel 1968, s'intende quella strategia di sviluppo dell'agricoltura basata sulla selezione di nuove colture, sull'utilizzo di concimi e pesticidi, l'applicazione della meccanizzazione e della pratica irrigua.

Ed è proprio grazie alla rivoluzione verde che ha avuto inizio lo sviluppo delle varietà moderne. Quindi le vecchie varietà costituite da un insieme di individui geneticamente diversi e appartenenti alla stessa specie, poco produttive e con una base genetica larga, intorno al 1940-1950, sono state gradualmente sostituite dalle varietà moderne costituite da individui geneticamente molto simili tra loro, più produttive, caratterizzate da una base genetica più stretta e concepite per rispondere meglio ai sistemi agricoli più industriali basati sull'utilizzo di maggiori input energetici e chimici (uso di concimi, diserbanti, meccanizzazione più spinta ecc.).

Tutto questo ha determinato anche un passaggio da sistemi agricoli tradizionali eco-compatibili e più rispettosi dell'ambiente a sistemi agricoli industriali ad alto impatto ambientale.

Il risultato finale di questo processo è stato la perdita di numerose vecchie varietà che, pian piano, sono state sostituite da poche varietà moderne cui è seguita una notevole diminuzione della biodiversità. Si calcola che nei paesi, dove il processo della "rivoluzione verde" è stato più incisivo sia scomparso dal 60 al 90% di vecchie varietà appartenenti alle più comuni specie agrarie.

Questo processo oggi chiamato col nome di "erosione genetica", ha determinato la perdita di una serie di risorse genetiche vegetali e quindi di biodiversità, che nei millenni gli agricoltori, attraverso il processo di addomesticamento, hanno contribuito ad incrementare.

Tuttavia mentre da una parte la "rivoluzione verde" causava la perdita di biodiversità, dall'altra è stata reperita e conservata nelle banche genetiche (oggi chiamate "banche del germoplasma") tutta una serie di varietà antiche al fine di poterle salvare dal processo di erosione genetica e poterle utilizzare come materia prima per il lavoro di miglioramento genetico delle specie vegetali.

Le banche dei semi sono oggi un interessante serbatoio per la conservazione della biodiversità e di tutte quelle risorse genetiche vegetali che per millenni gli agricoltori hanno selezionato, biodiversità che può essere utilizzata in ogni momento in particolari situazioni critiche alimentari, energetiche, climatiche ecc.

In definitiva coltivare un orto oggi significa:

  • Mantenere la biodiversità orticola ed evitare la perdita di numerose varietà autoctone;
  • Evitare la diffusione di gusti omologati e quindi diversificare sapori e tradizioni in base alle zone di produzione;
  • Essere autonomi dal punto di vista produttivo, ottenendo un cibo sano con ridotta o totale assenza di sostanze antiparassitarie;
  • Svolgere una funzione sociale, legata all'attività fisica ed eventualmente rieducativa dell'uomo che è in grado di prendere coscienza di se stesso e mettere a disposizione il suo lavoro per gli altri;
  • Comprendere che i ritmi della natura, essendo diversi da quelli imposti dall'uomo, ben si conciliano con il fisico, perché più adeguati al benessere sociale della persona.

Questo articolo è stato scritto da Fabio_DiGioia

Fabio_DiGioia

Fabio Di Gioia è nato a Montelupo Fiorentino nel febbraio del 1980, da una famiglia caratterizzata da una lunga e radicata tradizione contadina. Esperto di recupero e valorizzazione delle varietà vegetali antiche.

Dal 2010 a oggi organizza corsi e seminari sulle buone pratiche di conservazione e coltivazione delle varietà antiche vegetali sia in ambito erbaceo e orticolo che arboreo e frutticolo.

Lo scopo principale del suo lavoro è quello principalmente di recuperare le varietà locali e poterle reinserire in un contesto agricolo e produttivo, verso tutti coloro come le aziende agricole credono sempre di più nelle potenzialità di questo settore.

Blog: fabio13280 - fabio13280.wordpress.com